Giurisprudenza annotata

8.8. Consiglio di Stato, sez. VI, 7 maggio 2009, n. 2827


Abstract


La sentenza del Consiglio di Stato n. 2827 del 2009 verte sull’appello ad una decisione del T.A.R. Liguria in materia di autorizzazione all’esercizio di attività nel settore delle scommesse. Nello specifico il TAR doveva stabilire se un soggetto residente in Italia potesse decidere di intraprendere un’attività di intermediazione nel settore delle scommesse (per conto di un allibratore straniero regolarmente abilitato nel suo Paese), senza l’autorizzazione di pubblica sicurezza prevista dal citato art. 88 T.U.L.P.S. ed il possibile contrasto della normativa italiana con il diritto comunitario. Il Consiglio di Stato si era occupato di un’analoga questione già nel 2005, affrontando nell’occasione la conformità all’ordinamento comunitario della licenza (autorizzazione) concludendo, nel caso specifico, nel senso della piena legittimità dell’ordine del Questore ( Sez. VI, n. 5898/2005), in quanto fondato su una normativa nazionale ritenuta conforme al diritto comunitario con specifico riferimento al precedente testo dell’art. 88 del T.U.L.P.S. applicato nell’atto impugnato oggetto del giudizio la cui decisione si annota. Successivamente, la sentenza della Corte Giustizia del 2007, sopravvenuta alla sentenza qui impugnata, ha fatto assumere connotati in parte diversi ritenendo la disciplina nazionale relativa all’attività di raccolta delle scommesse incompatibile, in relazione ad alcuni aspetti, con il diritto comunitario, coinvolgendo in via principale, però, il regime legale concessorio di apertura ai privati dell’attività in questione, subentrato all’introduzione del presente giudizio. Ma il Consiglio di Stato ha in ogni modo ritenuto che, pur dopo la sentenza del 2007 della Corte di Giustizia, come chiarito con le sue recenti decisioni del 2008 e del 2009, l’attività di raccolta delle scommesse svolta senza il previo rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art. 88 T.U.L.P.S. debba ritenersi illegittima, anche se la raccolta avviene da parte di centri trasmissioni dati (CTD) collegati con allibratori stranieri regolarmente abilitati nel loro Paese.

Difatti, secondo il Consesso di Palazzo Spada, “la sentenza comunitaria, se, da un lato, ha inciso (sia pure solo in parte) sul sopravvenuto sistema concessorio, non ha, invece, travolto (se non marginalmente e di riflesso) il regime autorizzatorio previsto dall’art. 88 T.U.L.P.S., peraltro nel nuovo testo, con rilievi che, a loro volta, non investono in modo rilevante i termini della questione da risolvere nella presente sede in riferimento alla precedente formulazione dell’art.88 medesimo.”

      “Il riconoscimento della legittimità dell’ordine del Questore nel caso specifico che inibisce lo svolgimento dell’attività di raccolta a chi ha preteso di svolgere tale attività senza procurarsi prima l’autorizzazione ex art. 88 T.U.L.P.S., si fonda quindi sull’assunto che il regime di autorizzazione rimane fino ad oggi in piedi e che l’autorizzazione svolge (ed ha svolto) una funzione anche autonoma rispetto alla concessione (perché diretta a verificare requisiti di moralità e affidabilità da parte del soggetto che intende svolgere l’attività di intermediazione), e che quindi non è certamente sostenibile che un soggetto possa pretendere di svolgere l’attività di raccolta delle scommesse senza sottoporsi al vaglio preventivo dell’autorità di pubblica sicurezza (iniziando, come è avvenuto nella specie, a raccogliere scommesse senza nemmeno presentare la richiesta di autorizzazione).”

Al sistema attuale di concessione fa seguito un diverso sistema di autorizzazione, disciplinato dall’art.88 del T.U.L.P.S., come modificato, successivamente al provvedimento impugnato, dalla L. 22 dicembre 2000, n. 388, art. 37, comma 4, e che trova, poi, nell'art. 11 del medesimo decreto una disciplina generale circa i requisiti soggettivi delle persone richiedenti, così che le autorizzazioni di polizia possono essere negate ad esempio a chi ha riportato condanna per alcuni reati, specificamente indicati, tra cui reati contro la moralità pubblica e il buon costume o violazioni della normativa relativa, appunto, ai giochi d'azzardo, disciplina già vigente ed applicabile al tempo dei fatti per cui è causa.

Punto fondamentale del ragionamento del Consiglio di Stato è lo stabilire se la normativa italiana in materia di scommesse, per quanto riguarda entrambe le formulazioni dell’art.88 T.U.L.P.S. succedutesi in corso di causa, possa ritenersi giustificata da esigenze imperative di interesse pubblico non adeguatamente tutelate dalla normativa dello Stato di origine. Questo è un tema sul quale, sia i giudici nazionali (sia il Consiglio di Stato che la Corte di Cassazione) e sia il giudice comunitario sono stati ripetutamente chiamati a pronunciarsi, fino ad arrivare alla sentenza del 2007, per molti aspetti risolutiva delle questioni sopra accennate. Secondo i giudici di Lussemburgo, ciò che rende contraria ai principi comunitari l’attuale normativa italiana in tema di concessione è rappresentato, piuttosto, dalle modalità con cui il regime concessorio è stato disciplinato e attuato.

Per quanto riguarda, invece, il regime dell’autorizzazione di polizia, la Corte afferma che non si tratta di regime incompatibile con quello comunitario, ad eccezione della parte in cui, subordinando il rilascio della autorizzazione o licenza al previo ottenimento della concessione, porta ad ulteriori conseguenze le ingiustificate limitazioni derivanti dal regime concessorio, ed in particolare preclude alle società quotate di porre rimedio alla esclusione dal mercato italiano attraverso l'apertura di punti di raccolta dati gestiti da persone domiciliate in Italia. Ma pretendere di svolgere l’attività di intermediazione nel settore delle scommesse senza sottoporsi al preventivo vaglio dell’autorità di polizia significa eludere totalmente quelle cautele di ordine pubblico sottese al regime autorizzatorio che sono pienamente compatibili con i principi comunitari e ciò sia in base all’attuale formulazione dell’art.88 del T.U.L.P.S., per le ragioni sopra illustrate, sia per il “vecchio” testo applicate nel presente giudizio, come inteso dalla giurisprudenza complessivamente formatasi al riguardo.

Interessante infine è il richiamo ad una sentenza della Corte di giustizia della comunità del 1999 dove viene ritenuto che “le disposizioni del Trattato C.E. relative alla libera prestazione di servizi non ostano ad una normativa nazionale, come quella italiana, che riserva a determinati enti il diritto di esercitare scommesse sugli eventi sportivi, ove tale normativa sia effettivamente giustificata da obiettivi di politica sociale tendenti a limitare gli effetti nocivi di tali attività e ove le restrizioni da essa imposte non siano sproporzionate rispetto a tali obiettivi”. La Corte aveva inoltre affermato che limitazioni sono ammissibili se attraverso di esse si persegue anzitutto “l’obiettivo di un’autentica riduzione delle opportunità di gioco e se il funzionamento di attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti dai giochi autorizzati costituisce solo una conseguenza vantaggiosa accessoria e non la reale giustificazione della politica restrittiva attuata”. E tale era appunto l’obiettivo del complessivo sistema nazionale vigente al momento dell’adozione dell’atto impugnato, che dunque non risultava, nella stessa considerazione della C.G.E., incompatibile con i principi comunitari, diversamente da quanto ritenuto in prime cure (essendo il sistema mutato, come s’è visto, solo successivamente all’atto impugnato, con l’introduzione del sistema parzialmente aperto delle concessioni rilasciate a seguito di gara e con la nuova formulazione dell’art. 88 cit.).

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