Giurisprudenza annotata

1.4. Consiglio di Stato, sez. VI, 20 gennaio 2009, n. 265


Abstract


Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato, nel dirimere una controversia insorta tra una società proprietaria di aree poste tra il sito aeroportuale di Fiumicino ed il litorale marino e l’E.N.A.C., che aveva emanato un’ordinanza in merito all’abbattimento di 425 alberi in quanto costituenti ostacolo alla navigazione aerea, ricostruisce la sistematica dei rapporti intercorrenti tra impugnazione principale e ricorso per motivi aggiunti e chiarisce la corretta interpretazione di alcune disposizioni della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Il Consiglio di Stato si trova a risolvere la questione relativa all’inesattezza della statuizione dei primi Giudici che avevano dichiarato irricevibile, perché tardivo, il ricorso per motivi aggiunti dall’appellante.

A tal proposito, si è avuto modo di ribadire che l’accesso agli atti, di cui all’art. 22 l. n. 241/1990, è un diritto e non un onere del destinatario del provvedimento amministrativo. Il Consiglio di Stato, infatti, afferma che (ex art. 7, comma 3, l. n. 241/1990) è dovere dell’amministrazione allorché emana un provvedimento rendere edotto il destinatario non soltanto del contenuto precettivo, ma dell’intero tessuto istruttorio su cui esso si fonda ed ove ciò non accada al privato interessato è data la facoltà di esercitare il diritto d’accesso. Ma dal mancato esercizio di tale diritto non può discendere a carico del medesimo alcuna conseguenza sfavorevole in tema di decorrenza del termine per impugnare con motivi aggiunti nuovi atti lesivi conosciuti successivamente, ovvero di arricchire l’impugnazione originaria proposta con ulteriori profili di illegittimità.

E da tale considerazione appare corretto al Consiglio di Stato farne discendere il principio che: “nel processo amministrativo il presupposto necessario per la proposizione di motivi aggiunti, ai fini della deduzione di ulteriori vizi di legittimità dell’atto impugnato, consiste nell’ignoranza dei vizi stessi al momento della proposizione del ricorso introduttivo, non imputabile al deducente e riconducibile a comportamenti delle controparti, come il deposito di nuovi atti in corso di causa, oppure l’emersione aliunde di fatti o di circostanze nuove e significative, in precedenza non conosciuti, né conoscibili. La piena conoscenza di un provvedimento si verifica, ai fini della decorrenza del termine per la sua impugnazione, con la conoscenza della sua esistenza e della sua lesività, mentre la successiva acquisizione del contenuto integrale e degli atti del procedimento legittima solo l’eventuale proposizione di motivi aggiunti, in relazione agli aspetti non conosciuti prima”.

Nel caso in cui, quindi, l’amministrazione non abbia trasmesso con il provvedimento l’atto istruttorio, da cui sia stata tratta, per rinvio, la motivazione del provvedimento impugnato (l’art. 3, comma 3, l. n. 241/1990 pone a carico dell’amministrazione l’obbligo della relativa trasmissione, nel caso di motivazione “per relationem”), è sempre possibile integrare il ricorso con motivi aggiunti qualora, in corso di causa, sia chiarita dall’amministrazione la fonte della decisione negativa adottata.


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