Giurisprudenza annotata

18.2. Consiglio di Stato, sezione VI 9 giugno 2009 n. 5199


Abstract


La sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI del 9 giugno 2009 n. 5199 si fonda sul ricorso in appello proposto dal Ministero del Lavoro della Salute e delle Politiche sociali – Direzione Provinciale del Lavoro di Avellino – per la riforma o l’annullamento della sentenza del T.A.R. della Campania – Salerno – n. 1290/2008. Con la sopracitata sentenza il T.A.R della Campania accoglieva il ricorso proposto dalla società La xxxx s.n.c. inteso ad ottenere l’accesso a documentazione formata dall’Ispettorato del Lavoro relativa a dichiarazioni rese da propri dipendenti.

La società impugnava la statuizione reiettiva sottolineando il legame tra la richiesta documentazione e la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa.

Il Consiglio di Stato si trova ad affrontare una delicata materia nella quale, sia in giurisprudenza che in dottrina, si alternano tesi estreme.

Con riferimento ad una sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI del 13 dicembre 2006 n.7389, i giudici della VI sezione chiariscono che, in passato, si è affermato che “vanno disapplicate le norme regolamentari che sottraggono al diritto di accesso le dichiarazioni rese dai lavoratori in occasione di indagini ispettive a carico del loro datore di lavoro fino a quando non sia cessato il rapporto , rientrando tra i casi di segreto previsti dall’ordinamento quello istruttorio in sede penale, delineato dall’articolo 329 c.p.p., a tenore del quale gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari”. Nell’occasione è stato disapplicato l’articolo 2, comma 1, lett. c), D.M. 4 novembre 1994 n. 757, che sottrae al diritto di accesso le dichiarazioni rese dai lavoratori in occasione di indagini ispettive a carico del datore di lavoro fini a quando non sia cessato il rapporto, ritenendolo in contrasto con l’articolo 24 (esclusione dal diritto di accesso) legge 7 agosto 1990, n. 241.

Più di recente, precisano i Giudici della VI sezione, si è invece stabilito che deve essere sottratta al diritto di accesso la documentazione acquisita dagli ispettori del lavoro nell’ambito dell’attività di controllo loro affidata.

Infatti nella sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI, 20 aprile 2008 n. 1842, viene ribadito che “le disposizioni in materia di diritto di accesso mirano a coniugare la ratio dell’istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia di imparzialità dell’Amministrazione, come enunciato dall’articolo 22 della citata legge n.241/90, con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti, fra cui – specificamente – quelli dei soggetti “individuati o facilmente individuabili”…che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza (articolo 22 cit., comma 1, lettera c); il successivo articolo 24 della medesima legge, che disciplina i casi di esclusione dal diritto in questione, prevede al sesto comma casi di possibile sottrazione all’accesso in via regolamentare e fra questi – al punto d) – quelli relativi a “documenti che riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale di cui siano in concreto titolari, ancorchè i relativi dati siano forniti all’Amministrazione dagli stessi soggetti a cui si riferiscono”. In via attuativa, il D.M. 4 novembre 1994, n. 757 (regolamento concernente le categorie di documenti, formati o stabilmente detenuti dal Ministero del Lavoro sottratti al diritto di accesso) inserisce fra tali categorie – all’articolo 2, lettere b) e c) – “i documenti contenenti le richieste di intervento dell’Ispettorato del Lavoro”, nonché “i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie, o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”.” Nella stessa sentenza, sottolineano i giudici, “la prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, a tutela della sicurezza e della regolarità dei rapporti di lavoro, rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte a ispezione: il primo, infatti, non potrebbe non essere compromesso dalla comprensibile reticenza di lavoratori, cui non si accordasse la tutela di cui si discute, mentre il secondo risulta comunque garantito dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni e dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere”.

Nel caso in esame il Collegio rileva, tuttavia, che, a monte, vi è un più rilevante profilo che rende meritevole di essere accolta la posizione dell’appellante.

Difatti, secondo i giudici del Consiglio di Stato, i primi giudici, nell’accogliere il ricorso di primo grado, non hanno tenuto conto del fatto che la società non aveva dimostrato in base a quali argomentazioni/elementi le fosse indispensabile accedere agli atti contenenti dichiarazioni rese dai lavoratori, considerato lo stato in cui versava il procedimento.

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