Giurisprudenza annotata

2.5. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, 8 FEBBRAIO 2010, N. 577


Abstract


La sentenza in commento ha ad oggetto l’appello presentato dalla signora E. F. contro la sentenza del Tar del Veneto che aveva respinto il ricorso proposto dalla suddetta signora contro il decreto del 23 giugno 1889, n. 1235 con il quale il Presidente della Giunta regionale annullava il provvedimento di accoglimento di richiesta di riesame (ex art. 7 d.p.r. 20 dicembre 1979, n. 761) e rettificava l’inquadramento originario della stessa signora F. 
Nello specifico, la signora F., che era stata inquadrata in un primo momento nei ruoli nominativi regionali come operatore professionale collaboratore, aveva contestato (ai sensi dell’art. 7 del d.p.r. 761/79) l’attribuzione di tale qualifica e aveva ottenuto a seguito del riesame l’inquadramento nella qualifica di operatore professionale coordinatore. 
Successivamente il Presidente della Giunta Regionale ritenuto tale provvedimento frutto di un errore lo modifica in sede di autotutela, rinserendo in questo modo l’interessata di nuovo nei ruoli nominativi von la qualifica di operatore professionale collaboratore. Tale provvedimento è stato impugnato dalla signora F. di fronte al Tar che ha respinto il gravame, contro tale decisione la signora F. ha presentato appello al Consiglio di Stato articolandolo in tre punti. 
Nel primo punto viene contestato il potere dell’amministrazione di agire in sede di autotutela dopo la decisione di ricorso ex art. 7 d.p.r. 761/79; con il secondo si contesta l’eccesso di potere per non essere stati adeguatamente rispettati i principi che sovraintedono l’annullamento d’ufficio e la motivazione del provvedimento; infine, con il terzo punto si deduce l’erroneità nel merito della decisione presa dal Tar. 
Tutte e tre le questioni sono state dichiarate infondate. 
In particolare, il Consiglio di Stato spiega che con il primo motivo si deduceva che la decisione assunta dalla Regione, ex art. 7 d.p.r. 761/79 fosse statuizione su ricorso amministrativo e per questo non suscettibile di revoca o di annullamento d’ufficio. In realtà il giudice amministrativo precisa che il ricorso ex art. 7 è un rimedio di rettifica di errori e omissioni nell’ottica di una prevalente finalità collaborativa per una migliore ponderazione degli interessi coinvolti, da questo discenderebbe che la decisione non sarebbe un atto di natura giustiziale e proprio per questo l’Amministrazione sarebbe legittimata ad intervenire in sede di autotutela. 
Il secondo motivo viene scisso dal Consiglio di Stato in due questioni, la prima attinente all’esercizio del potere di annullamento, la seconda attinente alla carenza di motivazione. 
Rispetto alla prima questione il giudice afferma che il potere di annullamento d’ufficio è stato esercitato correttamente in quanto, il periodo trascorso dalla prima deliberazione favorevole alla signora F. alla seconda deliberazione non era così lungo da poter consolidare la posizione dell’interessata nella qualifica di operatore professionale coordinatore. 
Rispetto invece, alla carenza motivazionale, il giudice spiega che, pur esistendo tali carenze, nel caso di specie si tratta di un’attività vincolata e per questo può essere applicato l’art. 21 octies della legge 241/90, che permette al giudice adito di valutare ex post se il provvedimento impugnato non poteva essere diverso. Di conseguenza alla stregua di tale principio bisognava capire se la signora F. avrebbero potuto conseguire un inquadramento a lei più favorevole rispetto a quello assegnatole dalla Regione. Per il Consiglio di Stato non c’è dubbio che questo non poteva accadere, in quanto il primo inquadramento dei ruoli nominativi regionali imponeva la piena corrispondenza tra la qualifica posseduta dall’impiegata al momento del passaggio al servizio sanitario nazionale e quella indicata negli allegati del d.p.r. 761/79. Nel caso di specie, alla data del 20 dicembre 1979 la signora F. rivestiva la qualifica di infermiera professionale corrispondente nel nuovo ordinamento a quello di operatore professionale collaboratore. 
Date queste considerazioni il Consiglio di Stato conclude affermando che le carenze motivazionali possono essere superate e respinge anche le doglianze contenute nell’ultimo motivo di appello.

Riferimenti bibliografici





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