Giurisprudenza annotata

6. CONS. STATO, SEZ. III, 14 DICEMBRE 2012, N. 6443 - PROCESSO AMMINISTRATIVO


Abstract


La decisione in esame di segnala sotto un duplice punto di vista.

Il Consiglio di Stato, in primo luogo, nel respingere l’eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado riproposta dalla difesa appellante, ribadisce il principio per cui, ai fini della decorrenza del termine per impugnare un provvedimento amministrativo, il dies a quo non può farsi risalire all’atto dell’aggiudicazione provvisoria, né tantomeno alla semplice ammissione (o riammissione) in gara degli altri concorrenti.

Il Collegio, infatti, ha ritenuto che nessun effetto concretamente e definitivamente lesivo possa riconnettersi all’ aggiudicazione provvisoria, la cui impugnazione, infatti, resta soltanto una mera facoltà.

Con riferimento all’atto di riammissione (o ammissione) di taluno dei concorrenti in gara, invece, il Consiglio di Stato non ha ritenuto attribuibile a tale provvedimento alcuna portata lesiva della sfera giuridica degli altri concorrenti, suscettibili di subire vulnus da tale atto solo ove la gara venga effettivamente aggiudicata al concorrente riammesso.

La decisione evidenza, inoltre, il ristretto regime di eccezioni al principio generale per cui in materia di procedure ad evidenza pubblica il dies a quo per impugnare decorre dall’aggiudicazione definitiva della gara.

In particolare, la pronuncia in esame rileva che le uniche eccezioni al principio generale dianzi richiamato sono rappresentate dal bando, ove contenga clausole immediatamente escludenti, e dall’esclusione dalla gara.

In entrambi i casi, infatti, si è al cospetto di atti che, sebbene abbiano natura endoprocedimentale, determinando, tuttavia, una evidente ed in ipotesi definitiva lesione nella sfera giuridica di chi è escluso, devono essere impugnati immediatamente, prima ancora che la procedura sia conclusa, ma a tali ipotesi non può, per le ragioni appena ribadite, essere assimilata quella concernente l’ammissione (o la riammissione) degli altri concorrenti alla medesima gara.

Altro aspetto di particolare rilievo affrontato dalla III sezione del Consiglio di Stato è quello relativo alla possibilità di applicare per analogia agli appalti di servizi l’istituto della cooptazione previsto, solo per la materia dei lavori, dall’art. 92 del regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici.

Tale istituto si inquadra all’interno del sistema di qualificazione dei lavori pubblici, prevedendosi la possibilità che il singolo concorrente o più concorrenti riuniti associno altre imprese, provviste di una qualificazione SOA ma per categorie ed importi diversi da quelli richiesti dal singolo bando. Neppure il nuovo regolamento del 2010, sebbene dettato per tutte le tipologie di appalti, contempla l’istituto della cooptazione con riferimento alle ATI nel settore delle forniture e dei servizi.

Sul punto il Collegio rileva, quindi, come sia dubbia la possibilità di applicare in via analogica la citata disposizione, in considerazione delle evidenti difformità che caratterizzano il sistema normativo degli appalti di lavori rispetto a quelli di servizi.

In particolare, la pronuncia in esame evidenzia come già il tenore letterale del citato articolo 92 deponga in senso sfavorevole all’estensione della cooptazione agli appalti di servizi.

Inoltre, secondo il Consiglio, detta previsione si inquadra in un sistema, quello dei lavori per l’appunto, contrassegnato da un sistema di qualificazione dei soggetti esecutori del tutto peculiare, poiché unico e generalizzato (v. art. 40 del d.lgs. 163/2006), basato su categorie e importi in forza dei quali è rilasciata un’attestazione da parte di organismi di diritto privato autorizzati (e controllati) dall’Autorità di Vigilanza (SOA), che dimostra e certifica il possesso dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria. Mentre invece, per gli appalti di servizi e di forniture, quella stessa capacità va provata ogni volta in occasione della singola gara, tenuto anche conto dei requisiti richiesti dalle stazioni appaltanti (v. artt. 41 e 42 del d.lgs. 163/2006).

Peraltro, secondo il Collegio, ai significativi argomenti derivanti dall’esame del tenore letterale della normativa regolamentare, si aggiungono ulteriori perplessità che inducono a dubitare della possibile di estendere per analogia l’istituto della cooptazione anche agli appalti di servizi.

Non si può, infatti, ritenere che il mancato ricorso all’istituto della cooptazione, impedendo alle imprese minori di maturare capacità tecniche diverse ed ulteriori, determini, nel settore dei servizi e delle forniture, un restringimento significativo della partecipazione alle (future) gare e quindi, in ultima analisi, un effettivo freno alla concorrenza, in contrasto con i principi del diritto europeo.

Viene rilevato, infatti, che il ventaglio delle possibilità offerte dalla legislazione di derivazione comunitaria nel contesto della collaborazione fra imprese, è sufficientemente ampio da offrire agli operatori alternative comunque soddisfacenti.

La pronuncia in esame precisa, infine, che, anche a voler ammettere la via dell’interpretazione analogica - o estensiva - degli artt. 95 co. 4 del d.p.r. 554/1999 e 92 co. 5 del d.p.r. 207/2010, è comunque necessaria una integrale applicazione delle disposizioni appena richiamate, con conseguente vigenza, anche nel settore degli appalti di servizi, del principio per cui le imprese cooptate non possono eseguire più del venti per cento dell'importo complessivo dell’appalto e l'ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna di esse sia almeno pari all'importo della prestazione che le sarà affidata.


Riferimenti bibliografici





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